"Hamas non è un edificio che si può distruggere, Hamas è un'idea e l'idea vivrà." Mohammed Alatar, regista palestinese

"Hamas non è un edificio che si può distruggere, Hamas è un'idea e l'idea vivrà." Mohammed Alatar, regista palestinese

di Dalia Ismail

Lo scenario a cui stiamo assistendo in Palestina in questo periodo non è nuovo, ma ciclico, incluse tutte le armi che Israele sta utilizzando per distruggere il popolo palestinese e la sua Resistenza.

La propaganda occidentale che sminuisce le atrocità commesse dall’esercito israeliano e delegittima le fazioni politiche palestinesi, nonché le reazioni del mondo di fronte a ciò che sta accadendo.

Secondo un rapporto della CNN del dicembre scorso, le agenzie di intelligence statunitensi hanno avvertito l’amministrazione Biden dell’aumento significativo della credibilità e della popolarità di Hamas in Medio Oriente e nell’intero mondo islamico, dopo l’attacco del 7 ottobre.

Diciassette anni fa, il 1° novembre 2006, Israele avviò un’operazione militare via terra nella Striscia di Gaza, simile a quella in corso oggi. Quell’anno, Israele occupò il nord di Gaza per sei giorni, scrive The Electronic Intifada. 

La stessa fonte aggiunge che, mesi prima, Israele aveva già attaccato la regione costiera palestinese, distruggendo le sue infrastrutture. 

In quel periodo, sia il Comitato internazionale della Croce Rossa che Amnesty International definirono le azioni di Israele come crimini di guerra. Esattamente come sta facendo oggi, Israele, nel 2006, interruppe la fornitura di acqua, elettricità e carburante. Anche in quell’anno, gli ospedali palestinesi furono un principale obiettivo di Israele. Questi attacchi avvennero prima che Israele imponesse l’assedio nella Striscia di Gaza nel 2007, motivato dall’obiettivo di neutralizzare Hamas.

Pare evidente, secondo lo scrittore Siddiq Bazarwala, che 17 anni di assedio e 5 aggressioni militari non siano riusciti a fermare la resistenza palestinese.

Nel 2006, Hamas vinse democraticamente le elezioni. Per assicurare un processo elettorale libero ed equo, 900 osservatori internazionali monitorarono le elezioni e ne confermarono la democraticità e la trasparenza, nonostante la condizione di territorio occupato militarmente.

“I palestinesi comuni erano entusiasti di far sentire la loro voce, dati gli alti livelli di corruzione all’interno di Fatah e il fallimento degli accordi di Oslo, a cui Hamas si è opposto fin dall’inizio. Sotto la guida di Fatah, non c’era alcun segno visibile di uno stato palestinese e il numero di coloni israeliani in Cisgiordania stava rapidamente aumentando”, scrive Bazarwala. 

In Occidente, molti, specialmente nei media, minimizzano la Palestina sostenendo con certezza assoluta che manchi di democrazia, a differenza della potenza che la occupa illegalmente, ovvero la cosiddetta “unica democrazia del Medio Oriente”. Tuttavia, quando si tengono elezioni democratiche, come avvenuto nel 2006, gli stessi che criticano la Palestina per presunte carenze democratiche tendono a screditare i risultati che non si allineano alle loro posizioni, definendole, nel caso di Gaza, delle “organizzazioni terroristiche” da “neutralizzare”.

Essi esigono la vittoria delle forze politiche che riflettono i loro interessi nazionali, oltre ad aderire ai loro simboli culturali e sociali. Persino molti sostenitori della causa palestinese condannano la resistenza armata e difendono la popolazione di Gaza,

sottolineando che l’esito del voto delle elezioni del 2006 sia stato dovuto ad una “disperazione” della popolazione palestinese all’epoca e non da una reale adesione alle visioni e alle proposte del movimento Hamas.

Il popolo palestinese, come tutti gli altri popoli del mondo, ha il diritto inalienabile di scegliere i propri rappresentanti attraverso elezioni libere e democratiche. Questo principio fondamentale non può essere negato né violato da nessuno, e nessuna nazione dovrebbe essere soggetta a punizioni collettive, in questo caso l’embargo,  per le sue scelte politiche.

Allo stesso tempo, è importante smettere di semplificare la complessità della politica della Palestina e infantilizzare il popolo palestinese per le sue scelte e ambizioni. Sostenere che la popolazione di Gaza sia un corpo totalmente distaccato dal suo governo eletto o che lo abbia votato solo per disperazione e incoscienza non tiene conto del contesto complesso in cui si svolgono le elezioni, nonché è intriso di giudizi implicitamente razzisti.

Da quel momento storico, in Palestina le elezioni sono state ostacolate e cancellate da Israele, per mantenere uno status quo che gli giova, in quanto impedisce, per esempio, la creazione di uno stato palestinese.  Questo perpetua un’ingiustizia e una violazione dei diritti fondamentali del popolo palestinese, che dovrebbe poter esercitare il suo diritto democratico senza interferenze esterne.

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Per chi non ha esperienza diretta del contesto palestinese, comprendere appieno le scelte della popolazione locale può risultare estremamente difficile. Tuttavia, è fondamentale sforzarsi di comprendere un punto cruciale: le persone votano per chi credono possano condurle verso la liberazione nazionale dal colonialismo sionista. 

Per i palestinesi, la vera emancipazione può essere raggiunta solo smantellando il sistema coloniale attraverso varie forme di resistenza, con particolare enfasi sulla resistenza armata.

Esprimere solidarietà al popolo palestinese con premesse e considerazioni, unicamente a causa della presenza di Hamas al governo, equivale a sottintendere che la situazione sia stata provocata dalla popolazione stessa, e non da un progetto di pulizia etnica legalizzato dal sistema internazionale nel 1948 che precede di gran lunga Hamas e tutte le altre forze politiche palestinesi.

In definitiva, è importante avere un maggiore rispetto e una maggiore attenzione per la complessità delle società, culture, religioni e contesti politici che possono essere molto diversi dai nostri. Semplificarli per avere l’illusione di averli compresi è non solo deumanizzante, ma anche una forma di legittimazione di ciò che accade da oltre 75 anni al popolo palestinese.

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Il 5 febbraio è stato pubblicato “Threat assessment”, il rapporto della CIA e del FBI sulle minacce mondiali alla sicurezza nazionale degli Stati Uniti. “Israele probabilmente dovrà affrontare una persistente resistenza armata da parte di Hamas per gli anni a venire e l’esercito farà fatica a neutralizzare l’infrastruttura sotterranea di Hamas”, viene scritto nel documento, riporta InsideOver.

Oltre alla questione politica e militare, ci sono degli aspetti pratici, valoriali e ideologici da considerare. 

Hamas fa parte della società palestinese e compone una parte della sua storia e del suo sistema di credenze e visioni. Negli anni ha costruito strutture scolastiche, centri culturali, ospedali e tanto altro. Come ha affermato Hanan Ashrawi, docente e politica palestinese, a Otto e mezzo: “Hamas è un partito, è un movimento che ha un braccio politico e uno militare. Ha istituzioni, organizzazioni, servizi sociali e quant’altro, quindi dire di voler distruggere Hamas, vuol dire distruggere il 30/40% della popolazione palestinese.”

Distruggere Hamas è, da parte di Israele e dei suoi alleati, un obiettivo impossibile da raggiungere. Anche se dovesse uccidere tutti i militanti, i politici e i leader, le visioni di Hamas non si possono distruggere.  

“Hamas non è un edificio che si può distruggere, Hamas è un’idea e l’idea vivrà. Non possono distruggere l’idea di Hamas”, ha detto il regista e attivista palestinese Mohammed Alatar.