Il New York Times paragona il Medio Oriente al regno animale e il mondo "dei diritti umani" lascia correre

Il New York Times paragona il Medio Oriente al regno animale e il mondo "dei diritti umani" lascia correre

di Dalia Ismail

Il New York Times, il 2 febbraio, ha pubblicato un articolo intitolato “Understanding the Middle East Through the Animal Kingdom”, ovvero “Comprendere il Medio Oriente attraverso il regno animale”, scritto dal noto giornalista, commentatore, autore ed editorialista Thomas Friedman.

Questo articolo ha sconvolto il mondo arabo e musulmano, nonostante questo sia abituato da decenni agli articoli occidentali intrisi di pregiudizi, semplificazioni ed opinioni superficiali sulla regione, come anche alle giustificazioni dei crimini di guerra statunitensi ed israeliani. In particolar modo, sono conosciute le dichiarazioni di Friedman, noto sostenitore delle invasioni dell’Afghanistan e dell’Iraq,  verso cui portò avanti una martellante propaganda, facendo pubblicamente numerose affermazioni razziste e deumanizzanti.

In questo articolo, l’autore analizza la politica degli Stati Uniti e delle altre forze in campo nel sud-ovest asiatico e paragona gli attori della regione a insetti ed animali, mentre gli Stati Uniti vengono equiparati ad un “vecchio leone”.

Secondo Friedman, “per la geopolitica, l’Iran è ciò che una specie di vespa parassitoide appena scoperta è per la natura: inietta le sue uova nei bruchi vivi e le larve di vespa mangiano lentamente il bruco dall’interno verso l’esterno, scoppiando una volta che hanno mangiato a sazietà.”

C’è una descrizione migliore del Libano, dello Yemen, della Siria e dell’Iraq oggi? No, sono definiti ”bruchi“. 

“Il Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche è la vespa. Gli Houthi, Hezbollah, Hamas e Kataib Hezbollah sono le uova che si schiudono all’interno dell’ospite – Libano, Yemen, Siria e Iraq – e lo mangiano dall’interno verso l’esterno”.

Riguardo al movimento palestinese Hamas ha asserito: “il ragno salta fuori a grande velocità, afferra la sua preda e la trascina nella tana per essere divorata, il tutto in una frazione di secondo”, riferendosi ai tunnel sotterranei costruiti nella Striscia di Gaza e alla rapidità degli attacchi dei militanti delle Brigate Ezzedin el-Qassam.

“A volte contemplo il Medio Oriente guardando la CNN. Altre volte, preferisco Animal Planet”. Secondo The New Arab e diversi commentatori, questa è probabilmente la frase più offensiva dell’intera analisi.

L’Orientalismo di Friedman e dei media statunitensi ed europei è vecchia storia

Abdalhadi Alijla, ricercatore, autore e scrittore palestinese ha affermato sul suo profilo X che, già nel 1989, l’intellettuale palestinese Edward Said ha sostenuto pubblicamente che le prospettive di Thomas Friedman fossero superficiali, razziste ed orientaliste . 

“Said credeva che Friedman si sentisse autorizzato a sostenere considerazioni estreme nella regione. Da quando ho iniziato a leggere articoli e analisi in inglese, è diventato evidente che le prospettive di Friedman sono costantemente smentite. Le sue analisi sono superficiali, imprecise, razziste e contraddittorie” ha aggiunto.

Alijla si riferisce ad un saggio di Said pubblicato nel 1989, in cui l’editorialista settimanale del New York Times e le sue idee vengono rappresentate, ironicamente, così: 

“filisteismo comico delle idee di Friedman” e “ciò che studiosi, poeti, storici, combattenti e statisti hanno fatto non è così importante o centrale come ciò che Friedman stesso pensa”.

Friedman, vincitore del Premio Pulitzer per tre volte, è un commentatore di lunga data sulle questioni mediorientali ed è molto noto, soprattutto per il suo libro ” From Beirut to Jerusalem”.

Prima di tormentare l’umanità con le sue opinioni bisettimanali (come quella che McDonald’s è la chiave per la pace nel mondo), Friedman ha servito negli anni ‘80 come capo dell’ufficio del Times a Beirut e poi a Gerusalemme. “Il tempo trascorso in Medio Oriente gli permise di affinare la sua arroganza orientalista”, scrive Belén Fernández, autrice ed editorialista di Al Jazeera English, in un suo articolo sulla pubblicazione del 2 febbraio del Times, che lei definisce “la disumanizzazione per eccellenza a fronte del genocidio”.

Gli analisti e i commentatori hanno posto nuovamente l’attenzione sul concetto di Orientalismo teorizzato da Said e su come - nonostante il passare degli anni - ci sia la necessità di decolonizzare il racconto del mondo arabo e dell’Islam.

La propaganda portata avanti in questi mesi di genocidio in Palestina abbonda di pregiudizi islamofobi e semplificazioni, specialmente sulle persone e sulle forze politiche aventi una cultura islamica e una profonda fede in Dio.

Sono stati fatti i paragoni con gli articoli di propaganda serviti a legittimare le invasioni dell’Afghanistan e dell’Iraq ed è stato appurato, con convinzione generale, che il processo di deumanizzazione è il medesimo.

Belén Fernández, in occasione dei  40 anni dalla pubblicazione di Orientalismo, ha scritto che le strategie orientaliste di semplificazione e demonizzazione dell’ “Altro” arabo/musulmano sono state una manna per le guerre degli Stati Uniti.

Friedman determinò che “molti di quei civili afgani stavano pregando per un’altra dose di B-52 per liberarli dai talebani, vittime o meno” e che i soldati statunitensi dovevano andare “casa per casa da Bassora a Baghdad”, con un”bastone molto grande” ed educare gli iracheni con “suck on it”, espressione di trionfo quando si vuole fare del male a qualcuno.

In quegli anni, Said notò la proliferazione di libri e articoli dai titoli sensazionalisti come “L’Islam e il terrorismo”, “L’Islam smascherato”, e “La minaccia araba e musulmana”. Questi erano evidenti anche nelle emittenti televisive come CNN, Fox News e altre. Tale narrativa ha suscitato paura nel pubblico, contribuendo alla diffusione di generalizzazioni fabbricate volte a incitare “Gli Stati Uniti contro il diavolo straniero”

Said, nella prefazione di “Orientalismo”, spiega come l’imperialismo e il colonialismo occidentali abbiano sistematicamente ignorato l’impatto sulla vita dei colonizzati, dei popoli “inferiori” e delle “razze assoggettate” (siano essi palestinesi, congolesi, algerini o iracheni) dalle analisi delle problematiche dei loro stati. 

“Agli arabi e ai musulmani è stato detto che la vittimologia e il rimuginare sulle depredazioni dell’impero è solo un modo per eludere le responsabilità nel presente. Hai fallito, hai sbagliato, dice l’orientalista moderno”.

Questa tipologia di considerazioni ha creato un senso di deresponsabilizzazione dell’Occidente nei confronti del mondo da esso colonizzato e ha legittimato la presunzione di autorizzarsi a ritenere gli altri stati come costantemente vittime di povertà e disordini politici, deumanizzando le loro popolazioni, colpevoli del loro “stesso male”.

Come teorizzato dall’intellettuale palestinese anni fa e, come abbiamo potuto notare negli ultimi mesi, numerose persone negli Stati Uniti e in Europa immaginano ancora il mondo arabo e/o musulmano come abitato da soggetti tendenzialmente irrazionali, naturalmente irascibili, arrabbiati e senza alcun sistema politico degno.

In questo modo, il governo di Hamas a Gaza viene delegittimato a prescindere, nonostante abbia un proprio statuto, delle leggi e dei tribunali e - aspetto fondamentale - ha vinto le elezioni democraticamente. La mancata comprensione da parte dell’Occidente del sistema di valori arabo e/o musulmano autorizza le persone occidentali comuni a semplificare e a credersi più “civilizzati”.

Lo scopo di Friedman e del New York Times 

L’obiettivo di Friedman è autorizzare la violenza contro gli arabi e gli iraniani. Paragonare le popolazioni agli insetti è un metodo fascista che velocizza il processo degli stermini di massa.

Il fatto che l’articolo di Friedman sia stato pubblicato sul giornale liberale più influente degli Stati Uniti e del mondo dimostra come il liberalismo statunitense mainstream - assieme ai valori che sostiene - sia complice di tutti i massacri, le destabilizzazioni e le atrocità commesse nel Sud Globale. Il cosiddetto Medio Oriente è popolato da esseri umani, non da animali. “Animalizzarli” è sempre stato l’obiettivo degli Stati Uniti e dei suoi alleati.  Normalizzare la morte e la violenza sui loro corpi e sulle loro menti ne è la conseguenza.