Rafah è sotto attacco. Ricordiamo Rachel Corrie e il suo sacrificio per questa città

Rafah è sotto attacco. Ricordiamo Rachel Corrie e il suo sacrificio per questa città

di Dalia Ismail

In questi mesi, in cui Israele è sempre più intenzionato ad invadere Rafah, come se non gli bastasse continuare a bombardarla intensamente, nonostante la risoluzione ONU che chiede l’immediato cessate il fuoco per il mese di Ramadan, dobbiamo ricordare Rachel Corrie, un’attivista statunitense, che ha sacrificato la sua vita mentre difendeva coraggiosamente le case dei residenti di Rafah dalla distruzione perpetrata dall’esercito israeliano. Il suo coraggio e la sua dedizione alla causa dei diritti umani hanno lasciato un’impronta indelebile nella storia della Palestina e del mondo.

“Oggi non c’è città sulla Terra più densa di miseria e di inquietudine di Rafah, che si spinge verso il confine di Gaza con l’Egitto”, scrive Tom Dale, su Jacobin.

Negli ultimi giorni, i leader israeliani stanno guardando attentamente a Rafah. Dicono che sia diventata l’ultima fortezza della Resistenza palestinese, e che i capi militanti, come Yahya Sinwar, il capo di Hamas a Gaza, stiano cercando di scappare. Il ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant, ha detto che l’esercito sta avanzando verso Rafah e presto raggiungerà i suoi obiettivi, riporta la CNN.

Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (OCHA), più della metà delle oltre 2 milioni di persone sfollate a Gaza sta cercando rifugio nell’area di Rafah. Il 5 febbraio, secondo la CNN,  l’OCHA ha detto che sempre più rifugiati, che hanno un bisogno urgente di cibo, acqua, riparo e medicine, si stanno dirigendo verso Rafah mentre la situazione nei dintorni si aggrava, a causa dei bombardamenti israeliani e dei combattimenti dell’IOF contro la Resistenza.

Il presidente degli Stati Uniti ha già affermato che Rafah è una “linea rossa”. Tuttavia, non ha spiegato quali saranno le conseguenze per Israele se dovesse superarla questa linea. Israele, finora, non ha avuto nessuna conseguenza per aver violato tutte le richieste della comunità internazionale e degli USA stessi.

Rachel Corrie ha dato la vita per difendere Rafah

Rachel Corrie era una ragazza statunitense di Olympia, Washington. Durante i suoi studi universitari, è stata coinvolta nell’attivismo per la pace ed è diventata attiva in un gruppo chiamato “Olympians for Peace and Solidarity”. Per un progetto di studio, ha scelto di trascorrere un anno in Palestina, per incontrare e imparare dagli attivisti palestinesi e poter sviluppare un programma di gemellaggio tra Olimpia e Rafah.

Successivamente, è stata coinvolta nell’International Solidarity Movement (ISM). L’ISM è un gruppo di attivisti internazionali, in gran parte guidati da palestinesi, che si impegnano in proteste non violente contro le violazioni dei diritti umani perpetrate da Israele ai danni del popolo palestinese. Una delle battaglie principali del movimento è contrastare le demolizioni delle case palestinesi. 

La missione principale di Rachel e degli altri attivisti dell’ISM era quella di fare da scudi umani per proteggere i civili palestinesi di Rafah, che, come oggi, venivano regolarmente presi di mira dai soldati israeliani, e di prevenire la distruzione delle case e delle infrastrutture palestinesi, come i pozzi d’acqua, che erano regolarmente prese di mira dall’esercito israeliano, come scriveva Human Rights Watch nell’ottobre 2004 in un rapporto. 

“Nessuna lettura, partecipazione a conferenze, visione di documentari e passaparola avrebbe potuto prepararmi alla realtà della situazione. Non puoi immaginarlo a meno che tu non lo veda - e anche allora sei sempre ben consapevole che la tua esperienza di esso non è affatto la realtà: con le difficoltà che l’esercito israeliano avrebbe dovuto affrontare se avesse sparato a un cittadino americano disarmato, e con il fatto che ho i soldi per comprare l’acqua quando l’esercito distrugge i pozzi, e il fatto, naturalmente, che ho la possibilità di andarmene”, scriveva Rachel in un’e-mail ai suoi amici e alla sua famiglia negli Stati Uniti.

Il 16 marzo 2003, l’attivista, indossando un giubbotto arancione fluorescente e impugnando un megafono per annunciare la loro presenza ai soldati israeliani, si unì a un gruppo di altri sette volontari americani e britannici dell’ISM. Insieme, decisero di recarsi nella zona nota come “corridoio Philadelphi” di Rafah, lungo il confine con l’Egitto, con l’obiettivo di proteggere le case palestinesi dalla demolizione imminente.

Nel tardo pomeriggio di quel giorno, dopo lunghi momenti di confronto con i soldati impegnati nella demolizione delle case, Rachel si trovava su un cumulo di terra di fronte a uno dei bulldozer Caterpillar D9 corazzati da 60 tonnellate. È scivolata accidentalmente ed è stata investita e schiacciata dal bulldozer dell’esercito israeliano senza alcuna pietà. Le sue ferite sono state troppo gravi, e nonostante i tentativi di soccorso, è stata dichiarata morta poco dopo essere stata trasportata in ospedale con un’ambulanza.

“Il bulldozer è andato verso di lei molto lentamente. Era completamente in bella vista, dritta di fronte a loro… Purtroppo non è riuscita a mantenere la presa e ha iniziato a scivolare giù. Si vedeva che era in guai seri; c’era il panico sul suo volto mentre si girava… Tutti gli attivisti urlavano, correvano verso il bulldozer, cercando di farli fermare. Ma hanno continuato ad andare avanti”, testimonia Tom Dale, giornalista, attivista dell’ISM e testimone oculare dell’assassinio della compagna.

“Ho osservato mentre uno dei bulldozer fabbricati negli Stati Uniti, enorme e massiccio, si dirigeva verso la casa del dottor Samir Nasrallah e della sua giovane famiglia. Rachel, un’amica del dottor Samir, si è posizionata tra il bulldozer e la casa. Quando il bulldozer si è avvicinato, ha iniziato a creare un tumulo di terra tumultuoso di fronte alla sua lama. Quando il tumulo ha raggiunto Rachel, lei ha cominciato a scalarlo, lottando per mantenere il suo equilibrio sulla terra molle, aggrappandosi con le mani, finché la sua testa non era per lo più al livello della lama. Il conducente potrebbe averla guardata negli occhi. Ma ha proseguito imperterrito, e lei ha iniziato a perdere l’equilibrio”, scrive Dale quest’anno, in ricordo del suo martirio. 

Dale riporta anche che “qualche settimana prima di quel giorno, Rachel aveva avuto un sogno su una caduta, che aveva annotato nel suo diario”:

“…cadendo verso la mia morte da qualcosa di polveroso e liscio e che si sgretolava come le scogliere nello Utah, ma continuavo a tenere duro, e ogni volta che un nuovo appoggio o maniglia di roccia si rompeva, tendevo la mano mentre cadevo e afferravo un nuovo sostegno. Non avevo tempo per pensare a nulla, solo reagire… E sentivo, ‘Non posso morire, non posso morire’, di nuovo e di nuovo nella mia testa”.

Israele e la sua consueta impunità 

A differenza di quanto credeva Rachel riguardo al suo privilegio di essere statunitense, che avrebbe dovuto proteggerla dalla morte, Israele, cosciente della sua impunità, l’ha assassinata e, ancora oggi, l’ISM e la famiglia Corrie continuano a chiedere giustizia per Rachel. 

La risposta ufficiale di Israele è stata di non averlo fatto. Successivamente ha ammesso di averlo fatto ma non di essere il responsabile e che, anche se fosse, gli attivisti dell’ISM sono terroristi.  Il comandante dell’IDF per la Striscia di Gaza meridionale, al momento dell’uccisione, ha detto, ad un tribunale di Haifa: “un’organizzazione terroristica ha inviato Rachel Corrie per ostacolare i soldati dell’IDF. Lo dico con cognizione di causa”

Secondo IMEU, poco meno di un mese dopo la tragica morte di Rachel, l’esercito israeliano ha classificato il suo decesso come un “incidente” in un rapporto che è stato fortemente criticato da organizzazioni per i diritti umani. Inizialmente, Israele ha negato l’accesso al rapporto alle autorità statunitensi e alla famiglia Corrie. Successivamente, è stato pubblicato un documento di 20 pagine che mancava di citazioni dirette da testimoni oculari o prove documentate, suscitando ulteriori polemiche.

L’amministrazione degli Stati Uniti, guidata da George Bush, ha espresso rammarico per la morte di Rachel Corrie ma ha rifiutato di condurre un’indagine indipendente.

Nonostante le critiche, non sono state intraprese azioni significative dagli Stati Uniti, nonostante le numerose segnalazioni che le indagini israeliane non sono sufficienti. 

La famiglia Corrie e la sua instancabile ricerca di verità e giustizia

Dopo anni di lotta per ottenere giustizia per la morte di Rachel, nel marzo 2005 i suoi genitori si sono uniti a diversi palestinesi per portare avanti una causa legale contro Caterpillar Inc. negli Stati Uniti. Hanno cercato di dimostrare che la società fosse responsabile della morte di Rachel per aver fornito bulldozer a Israele, nonostante fossero chiaramente utilizzati per violazioni dei diritti umani. 

Nonostante i loro sforzi, la causa è stata respinta nel novembre 2005 e il tribunale d’appello ha rifiutato di riaprire il caso negli anni successivi. I genitori di Rachel hanno poi intentato una causa civile contro il governo israeliano nel marzo 2010. Quella volta, accusarono l’esercito israeliano di aver ucciso Rachel illegalmente, intenzionalmente o anche solo per la grave negligenza. Durante il processo, sono emerse informazioni sconcertanti sulla mancanza di imparzialità degli investigatori israeliani, ad esempio, che non avevano visitato il luogo dell’incidente né intervistato testimoni oculari. Nonostante ciò, il 28 agosto 2012, il giudice ha dichiarato che la morte di Rachel è stato uno “spiacevole incidente” e ha escluso qualsiasi responsabilità del governo israeliano. Questo ha scatenato la delusione e l’indignazione della famiglia di Rachel e di molti sostenitori dei diritti umani. 

La lotta di Rachel vive

Dopo la morte di Rachel, i suoi genitori hanno fondato la The Rachel Corrie Foundation for Peace & Justice per onorare la sua memoria. L’obiettivo della fondazione, come si legge nel Mission Statement”, è quello di continuare “il lavoro che Rachel Corrie ha iniziato e sperava di portare a termine, e di portare avanti tale lavoro tenendo presente la sua visione, il suo spirito e la sua energia creativa. Conduciamo e sosteniamo programmi che favoriscono le connessioni tra le persone, che promuovono la comprensione, il rispetto e l’apprezzamento delle differenze, e che promuovono la cooperazione all’interno e tra le comunità locali e globali. La fondazione incoraggia e sostiene gli sforzi di base nella ricerca dei diritti umani e della giustizia sociale, economica e ambientale, che consideriamo prerequisiti per la pace nel mondo.” 

I progetti della fondazione includono il finanziamento di un’unità di purificazione e dissalazione dell’acqua per un asilo a Rafah e la Borsa di studio commemorativa Rachel Corrie presso l’Evergreen State College.

La vita di Rachel ha ispirato numerosi lavori artistici, tra cui il celebre spettacolo My Name is Rachel Corrie, edito e diretto dal premiato attore britannico Alan Rickman, basato sui suoi diari e sulle email. 

La dedizione di Rachel alla causa della liberazione della Palestina ha ispirato numerosi tributi e monumenti in suo onore da parte dei palestinesi, sia in Palestina che nella diaspora. Nel marzo 2003, l’Unione dei Comitati di Lavoro Sanitario a Gaza ha intitolato una clinica e un centro per bambini a Rafah in suo onore, il “Centro per Bambini Rachel Corrie”. Nel 2010, è stata dedicata una strada a Rachel a Ramallah, nella Cisgiordania occupata.