Pasti caldi all’IDF e carestia a Gaza: Se questa è umanità

Pasti caldi all’IDF e carestia a Gaza: Se questa è umanità

Yazan Al-Kafarneh aveva 10 anni e il suo piccolo cuore ha smesso di battere a causa di grave malnutrizione e assenza totale di cure mediche. Le sue foto hanno fatto il giro del mondo, condivise e ricondivise anche in quell’occidente incurante che osserva da lontano quello che è il genocidio ad oggi maggiormente documentato dalla stessa popolazione che lo sta subendo. La costante condivisione di quelle immagini dovrebbe portare, a rigor di logica, a mobilitazioni mondiali costanti, a pressioni sui propri governi, a posizioni nette da parte dei politici che almeno dovrebbero chiudere ogni rapporto commerciale con l’entità sionista. Invece non assistiamo a nulla di tutto ciò; foto di immenso dolore vengono condivise tra le patinate immagini di un aperitivo e una cena. Siamo anestetizzati e viviamo in una completa dissociazione cognitiva.

Mentre noi, nei nostri comfort occidentali, ci preparavamo i nostri pasti verosimilmente acquistati in quel Carrefour che finanzia lo stato di apartheid in Palestina, gli aerei giordani lanciavano quegli aiuti che migliaia di palestinesi nel campo profughi di Jabalia attendevano con ansia. Gli stessi aiuti che il vento ha spostato verso ovest, vicino alla costa, facendone cadere alcune in acqua. Mentre noi affettavamo gli avocadi israeliani impregnati del sangue dei palestinesi, questi ultimi hanno percorso quasi tre chilometri per raggiungere la costa, solo per scoprire che le casse erano già state svuotate. Ogni cassa conteneva trenta pasti, costituiti da farina, riso, una bottiglia d’acqua, latte per neonati, olio da cucina, diversi pacchi di pasta e assorbenti. I pacchi alimentari che distribuivamo durante la pandemia in nome della solidarietà collettiva erano nettamente più ricchi e personalizzati; invece, nei nostri comfort, accettiamo che ai palestinesi venga distribuita una manciata di farina, qualche assorbente e, nella migliore delle ipotesi, un po’ di latte per i neonati nati sotto le bombe.

E nel frattempo, se proprio ci appropinquiamo a raccontare il genocidio in Palestina, lo facciamo con pietismo e dovendo sempre rimarcare che “si condanna il 7 ottobre” e si vuole la pace… LA PACE…

La pace con chi ci dovremmo chiedere, la pace con un progetto coloniale neo-nazista che spara e uccide civili che provano a recuperare cibo per i propri figli? 

Ibrahim, un residente di Jabalia, ha detto ad Al-Akhbar, media libanese, che i palestinesi a Gaza “non sono mai stati affamati o accattoni, per permettere al mondo di insultare in questo modo la nostra dignità.”

Solo durante il weekend, lo stesso in cui probabilmente molti concludevano le proprie serate con un pasto al Mac che regala pasti caldi all’IDF, presso l’ospedale Kamal Aswan, ben 16 bambini sono morti a causa di malnutrizione e disidratazione. Save the Children ha segnalato che le famiglie palestinesi a Gaza sono “costrette a cercare avanzi di cibo lasciati dai ratti e a mangiare foglie per disperazione” a causa del persistente blocco israeliano degli aiuti verso Gaza. Agnes Callamard, il segretario generale di Amnesty International, ha accusato le autorità israeliane di aver “progettato la carestia” nella Striscia di Gaza.

“Sanno l’esito probabile delle loro azioni ma hanno continuato, settimane dopo settimane e mesi dopo mesi”, ha dichiarato riguardo alle azioni israeliane. “E tutti gli Stati che hanno tagliato i finanziamenti dell’UNRWA, venduto armi e supportato Israele sono responsabili.”

Anche l’UNRWA ha descritto la morte di neonati e bambini palestinesi a causa della malnutrizione come “creata dall’uomo, prevedibile e completamente evitabile”.

La stessa UNRWA che ha visto prosciugate le sue risorse da quando gli Stati Uniti e i loro alleati occidentali hanno sospeso i finanziamenti all’agenzia a fine di gennaio, perché Israele ha accusato 12 membri del personale dell’UNRWA di aver partecipato all’attacco dell’7 ottobre. Accuse tra l’altro mai dimostrate.

Si avvicina il Ramadan, il mese più importante per i fedeli musulmani, e a Gaza quello che è considerato uno dei principali alimenti per spezzare il digiuno, il dattero, non entra, non passa i controlli a raggi X imposti. A quanto pare i loro semi sono sospetti e potrebbero nascondere chissà quale arma di distruzione di massa.

Gli stessi datteri che sono simbolo di resistenza del popolo palestinese, gli stessi datteri che l’entità sionista saccheggia e con cui fa cassa, gli stessi datteri che, bagnati e avvolti in una garza, vengono sfruttati per simulare l’allattamento e fornire ai neonati di Gaza quei micronutrienti che, ad oggi, non possono assimilare in nessun altro modo.