Lampedusa e la Sfida Perenne alle Politiche Migratorie
Cosa Dobbiamo Riconsiderare?
Si sta assistendo a continue ondate di persone migranti in arrivo a Lampedusa e la narrazione è sempre la stessa: quella dell’emergenza.
Sui media si parla di hotspot al collasso e di cariche di “alleggerimento” per contenere le folle in fuga.
I numeri degli arrivi secondo la tabella del ministero dell’interno sono triplicati rispetto al 2021 e raddoppiati rispetto al 2022 per un totale di arrivi via mare dal 1 gennaio 2023 al 15 settembre 2023 di 127.207 persone.
Numeri che danno l’idea di un fenomeno complesso e di come il governo dei flussi migratori verso il nostro paese sia sempre stato inadeguato e inefficace. Basti pensare alla capienza di 380 posti dell’hotspot di Lampedusa, insufficiente per gestire le migliaia di persone che sono sbarcate negli ultimi giorni.
La carenza di strutture attrezzate ed adeguate comporta un sovraffollamento in grado di aggravare pesantemente le condizioni delle persone vulnerabili mettendo a concreto rischio la loro vita e quella degli abitanti dell’Isola.
Nessuno si vuole fermare e molte persone non vorrebbero nemmeno restare in Italia. Ma il regolamento Ue Dublino, che impone al primo paese europeo di arrivo la competenza ad esaminare la richiesta di protezione internazionale, impedisce alla persona migrante di poter proseguire il proprio viaggio e di raggiungere altri stati Ue.
Questo comporta un obbligo a carico dell’Italia di doversi assumere la responsabilità di chi arriva, senza una reale collaborazione di altri paesi limitrofi. Basti pensare che in questi giorni la Francia respinge circa 300 persone al giorno e ha raddoppiato le unità di pattuglia al confine passando da 60 a 120, o alla Germania che ha sospeso il meccanismo di solidarietà volontaria europea, non accogliendo più i richiedenti asilo dall’Italia.
Nonostante da anni le organizzazioni non governative denuncino il sistema hotspot e rivendichino il superamento del regolamento EU, per l’ennesimo anno consecutivo, ci si ritrova di fronte alla stessa disperata situazione.
Il dramma è che si parla di vite umane; secondo l’OIM nel Mediterraneo, dal 2013 ad oggi, sono morte 25.000 persone. Numeri che, purtroppo, sono destinati a salire, perché la storia di questo paese ci insegna che i processi migratori sono sempre stati trattati come un tema da campagna elettorale, piuttosto che come un fenomeno da governare.
La recente strage di Cutro ne è un esempio. Di fronte alla morte di 94 persone il governo è intervenuto abolendo la convertibilità della protezione speciale in permesso di soggiorno per lavoro, condannando migliaia di persone alla clandestinità. Ne ha anche approfittato per ridurre considerevolmente gli standard minimi di accoglienza nel sistema Cas, abolendo ad esempio l’assistenza legale. Ha ripristinato l’impianto normativo previgente, escludente e fortemente discriminatorio. Piuttosto che intervenire per combattere situazioni di grave sfruttamento e di invisibilità, le ha create per poi poter sostenere che il problema sono proprio le persone “clandestine.”
Penso che l’Italia di oggi voglia essere impreparata a governare tali flussi, perché continua ad utilizzare strumenti normativi concepiti 25 anni fa e si macchia del sangue di potenziali beneficiari di protezione, stringendo accordi con paesi terzi, che alla fine si rivelano fallimentari.
Questa gestione dei flussi migratori è incivile e indegna per un paese che ha ratificato la Convenzione di Ginevra e la Carta Europea dei diritti fondamentali. Un paese degno non deve finanziare bande di criminali o nascondersi dietro leggi ingiuste e razziste come la Bossi-Fini, ma dovrebbe saper cogliere la sfida e inventare nuove modalità di accoglienza e di regolamentazione dei flussi.
Le immagini di questi giorni, non possono che stimolare il desiderio di abbattere qualunque confine e di schierarsi a fianco di chi è in movimento per proteggersi, salvarsi e migliorare le proprie condizioni di vita.