La persecuzione dell’angelo del male

La persecuzione dell’angelo del male

di Tommaso Sarti

Dopo appena due giorni dall’uscita del nuovo album di Baby Gang “Angelo del male”, album che vede la presenza di numerosi nomi della scena italiana e conferma, se ancora ce ne fosse bisogno, lo spessore del giovane artista marocchino, è arrivata la notizia dell’arresto di Zaccaria e del suo trasferimento in carcere. Già sottoposto al regime della detenzione domiciliare per i fatti di via Tocqueville a Milano (Sarti, 2023), ulteriormente aggravata qualche settimana fa a seguito di una non chiara e altrettanto assurda “sparatoria” ai danni di un amico, versione prontamente smentita dall’artista e dal suo staff, Baby si trova al momento in casa circondariale per aver violato i domiciliari postando sui social immagini che lo ritraggono, durante le riprese dei videoclip, con armi in mano mentre mostra il braccialetto elettronico. Come riporta prontamente la pagina social babygang_1, profilo Instagram dell’artista: «[…] peccato che questa pagina sia gestita dal suo team e non da lui personalmente e che tutti i contenuti qui pubblicati siano stati girati in occasione dei permessi rilasciati dagli stessi giudici che oggi hanno ordinato l’arresto. È tutto talmente assurdo che siamo costretti a pensare che si tratti di una scelta precisa, quella di silenziare un artista scomodo in un momento di massima visibilità […]» (babygang_1). 

La gestione di quello che è diventato l’affaire Baby Gang è ormai al limite del kafkiano, una persecuzione meschina e contorta che segue un copione ben preciso che vede come unica soluzione alla mancata cooptazione, pentimento, espiazione dell’artista la sua neutralizzazione (Foucault, 1978, Quadrelli, 2013) attraverso un continuo gioco perverso fatto di concessioni seguite subito dopo da privazioni sempre maggiori rispetto alle concessioni stesse: può fare musica ma non può pubblicarla, può pubblicarla ma non può fare live, può fare live ma gli viene sospeso il tour, pubblica un nuovo album e viene incarcerato. Eppure, nonostante le testate giornalistiche di settore si siano accorte adesso, meglio tardi che mai, della costante attenzione della repressione verso Baby e quello che rappresenta, questa non inizia certo oggi. Si è già avuto modo di scrivere come e perché agisce la repressione nei confronti di quegli artisti che non risultano pacificati (Sarti, 2023): se non c’è alcun interesse nel reprimere artisti che fanno generiche allusioni al crimine quando sono funzionali al sistema e al mercato, la repressione interviene là dove, non funzionando la cooptazione, i trascorsi criminali di un Baby Gang o di un Simba La Rue diventano il pretesto per silenziare quei soggetti che non risultano recuperabili. Tuttavia, riprendendo tra gli altri Ilian (2020) e Kaluza (2018): «[…] questo apparato cognitivo [e poliziale] incentrato sulla sicurezza sembra non considerare […] come la musica […] abbia permesso ad alcuni di questi autentici ex criminali di guadagnare ottimamente e intraprendere percorsi che fanno di loro degli interpreti di un sentimento anziché degli esecutori di reati» (Saitta, 2023, p.62). Il problema però forse sta proprio qui, dare una voce al sentimento degli esclusi e delle escluse può rivelarsi molto più pericoloso per uno stato che avere a che fare con un semplice criminale, non è forse più opportuno mantenere un Baby Gang nell’illegalità piuttosto che averlo come megafono del malcontento di un’intera generazione che è cresciuta con la rabbia e il rancore verso una nazione che li ha e le ha illuse così come aveva illuso i loro genitori? 

Meglio chiuderlo in carcere e lasciarlo diventare il criminale che lo stato vuole che diventi, perché di certo non ci si può aspettare nulla di diverso da un’istituzione marcia come quella penitenziaria. In che modo è ancora possibile credere che il carcere sia un luogo di recupero? Come si può anche solamente pensarlo dopo che i dati parlano di una recidiva del 97%? Dopo le notizie che nelle carceri di tutta Italia si abusa e si torturano i detenuti e le detenute? È ancora possibile sorprendersi o siamo semplicemente e volontariamente diventati complici di questo sistema? 

Diciamolo chiaramente ancora una volta, Baby Gang non è in carcere perché si fa vedere con le armi nei videoclip, altrimenti come lui dovrebbero trovarsi in carcere i tre quarti della scena rapper così come tutti gli interpreti di film e serie tv che trattano di violenza e di criminalità, Baby Gang è in carcere perché è un problema, è un problema politico per un sistema che crede ancora di non dover niente alle generazioni di giovani con background migratorio e popolare nat* e cresciut* nelle periferie e nelle province lavorando nei campi, nella ristorazione, nei servizi, sottopagat*, sfruttat*, discriminat*, ma sempre obbligat* ad essere grat* del giogo del padre padrone europeo che promette solo illusioni. Baby Gang è in carcere perché con le sue canzoni parla di un conflitto mai del tutto sopito, con le sue canzoni ci ricorda dell’esistenza di una politica del quotidiano fatta da quella teppa che combatte giornalmente attraverso traffici, sotterfugi, scorciatoie, furti, rapine contro un sistema che, come sempre, ci vuole ubbidienti o mort*.  

Voglio cambiare vita, mamma

Ya, habibi-bibi, yalla

Rincorso dai casini, dalla

Non siamo noi i cattivi, wallah, 

Mi trattano male, scioperi di fame

Sto in isolamento e voglio solo cantare, cantare

Siamo quei ragazzi che mamma ci ha fatto pure da papà

Sognavo un diploma all’università

Ora sogno un futuro lontano da qua 

Mi dicono in tanti “ti prego, cambia quella mentalità”

Ma finché non cambia questa società

Rimango lo stesso ribelle di sempre

(Liberi, Baby Gang, 2024) 

#FREE BABY GANG, #FREE SIMBA LA RUE, #FREE NPT, #FREE SHIVA, #FREE MILANO OVEST,  #FREE ALL