Lo stato ci “perde” la faccia

Lo stato ci “perde” la faccia

Decreto Caivano, ad Ancona il primo avviso orale inviato a un minorenne

Di Tommaso Sarti

Il questore di Ancona, Casare Capocasa, ha firmato il 16 settembre il suo primo provvedimento di Avviso orale previsto dal decreto legge Caivano nei confronti di un minore (15enne).

Più carcere, divieto d’utilizzare il telefono, multe per i genitori, è questa la soluzione trovata del governo per risolvere la violenza e la devianza giovanile. Non sorprende l’adozione del cosiddetto decreto Caivano, un decreto che secondo una chiara impostazione di populismo penale cavalca il dolore, la rabbia, la tristezza e la morte asportando le proprie responsabilità e il proprio fallimento scaricandole su quei giovani che a diverse latitudini – nelle periferie del nord sono le “baby gang” dei “maranza” mentre a sud sono i giovani delle paranze – sono lo scarto di un paese che si dimostra sempre più lontano e incapace di comprendere la realtà che lo circonda.

Sono anni che soggetti più o meno competenti prendono parola sventolando il diavolo popolare della violenza giovanile e della sua costante crescita associata alla musica trap o al neomelodico, a serie televisive come Gomorra o Mare fuori, ai social che rendono fluida e indistinguibile la realtà dal virtuale, eppure, come osserva Prina (2023) questa narrazione non corrisponde in alcun modo alla verità: in primo luogo perché la delinquenza minorile in Italia non si può paragonare a quella di altri stati a noi vicini, i dati parlano di 400 giovani (sempre troppi) rinchiusi negli istituti minorili contro numeri dieci volte maggiori rispetto ad un paese come la Francia1; secondariamente perché come ci ricorda molto bene Marchi (2014) la violenza giovanile è una costante della società moderna dove ritroviamo gruppi di giovani educati in strada e alla strada che unendosi si oppongono ai tentativi integrazionisti della società dominante adottando stili e valori che contrastano con l’immaginario pacificato dell’oppressione. Se questo non riduce la drammaticità degli eventi delle scorse settimane c’impone un’operazione di onestà intellettuale e politica che, come insegnano le teorie femministe, non può lasciarci indifferenti né tantomeno chiamarcene fuori additando i giovani e la loro musica come i principali responsabili di quello che accade intorno a noi. La violenza, con il suo portato di dolore fisico e psicologico che provoca, non può essere affrontata in maniera sensazionalistica e banalizzante perché se «[…] è ben possibile che la violenza giovanile nasca per imitazione, come del resto tutti i comportamenti umani […] lo fa perché risponde a bisogni indipendenti dei canali di trasmissione, preesistenti ai media di massa ed evidentemente connessi alla vita urbana sin dalla sua moderna conformazione» (Saitta, 2023, p.68). In altre parole i giovani di oggi non inventano nulla di nuovo, più semplicemente raccontano e ci raccontano una realtà che già esiste e che semplicemente evolve insieme alle trasformazioni della società corrispondendogli e rappresentandola.

In qualche modo ci siamo convinti/e che i responsabili della violenza giovanile siano determinati prodotti culturali, che la musica non dovrebbe trattare temi come la violenza, la criminalità, le droghe per non correre il rischio che giovani fan incauti ascoltando una traccia vengano trasformati in feroci criminali, e non un sistema socio-economico che per la sua stessa sopravvivenza si fonda su una violenza strutturale che esclude e annichilisce a cui è difficile se non addirittura impossibile sottrarsi: dalla violenza nelle relazioni umane a quella tra stati, passando per quella istituzionale e climatica, la violenza in una società razzista, sessista e capitalista rappresenta l’unico modo per entrare in relazione con l’altro (Yousfi, 2023). Letta in questo modo la violenza assume allora un valore pedagogico ancora più forte per quei giovani già educati ad un estetica violenta che vivono la strada, la quale costituisce una delle poche alternative allettanti al determinismo sociale per tutta una serie di soggettività a cui è preclusa ogni aspirazione di ascesa sociale, perché qui esiste un codice normativo che regola le relazioni sociali attraverso la violenza agita ma ancora più mimata e minacciata fatto di una grammatica di sguardi che anticipa e a volte evita lo scontro (Bertoni, 2022). Ma se da un lato la strada può attrarre chi non la vive, basta parlare con chi invece vi si è trovato intrappolato per capire che non c’è alcuna fascinazione e nessuna esaltazione quanto piuttosto una pura e semplice materialità della propria condizione fatta di rancore, tristezza e solitudine dove una violenza indiscriminata rappresenta l’unica forma di riscatto. Eppure come c’insegna Marchi per il sistema il problema non è la violenza in sé che si consuma quotidianamente all’interno delle periferie che viene spesso ignorata o raccontata in maniera pornografica e asettica per permetterci di creare una distinzione tra noi civili e loro barbari, il problema sorge quando i barbari, gli assassini, le bestie escono dai loro quartieri, dai loro ghetti per riversarsi con tutta la loro mostruosità e patologia nelle vie del centro e della movida invadendo gli spazi _safe _del buon cittadino. Perché quando l’emarginato della periferia rivendica il centro città per godere della bellezza svago e possibilità che offre «[…] sempre a tre autobus o a quindici fermate di metropolitana di distanza, e sempre a condizione di avere soldi a sufficienza» (Marchi, 2021, p.31) si attiva la sindrome di Andy Capp2 perché «[…] finché si sgozzano e accoltellano tra loro passi […] ma che non lo facciano sotto le nostre case, nelle nostre strade, nei nostri territori» (Marchi, 2021, p.32).

I testi trap che tanto vengono accusati di fomentare questa situazione di disagio e devianza diventano invece un grido che ci mette davanti alla realtà, una realtà in cui i giovani sono arrabbiati e con modi e per motivazioni differenti praticano una violenza generalizzata e predatoria che invece di scandalizzare dovrebbe farci interrogare. Una violenza che non è più appannaggio esclusivo delle fasce più marginalizzate e razzializzate della società, ma che si estende ad altre categorie sociali per merito dell’abbassamento delle aspettative di qualità della vita che rende più facile identificarsi con ambienti e soggettività marginalizzate piuttosto che con altro (Saitta, 2023). Per concludere, la scelta del governo non sortirà alcun effetto sulla devianza e sulla criminalità giovanile perché non è attraverso i maxi blitz (Napoli e Roma) o l’abbassamento di soglia per entrare in carcere che si risolve il dramma dei giovani che vivono le nostre città. In un contesto dove cresce la preoccupazione per la devianza giovanile la musica, i film e gli stili rappresentano dei facili bersagli «[…] per coloro che desiderano essere visti mentre fanno qualcosa contro il crimine ma che non sono disposti a discutere delle crescenti disuguaglianze socio-economiche […]» (Ilian, 2020, p.996), invece di chiedere più carcere una collettività dovrebbe prendersi cura dei propri figli e delle proprie figlie pretendendo per loro maggiori opportunità, maggiori spazi di socializzazione, maggiori comunità con più educatrici ed educatori ben pagati/e e soddisfatti/e, più scuola che non sia performativa ed escludente, più affettività ed empatia. Queste non sono richieste o concessioni che devono arrivare da uno stato assistenzialista, sono prerogative politiche che devono essere conquistate perché la responsabilità è anche nostra se i giovani sognano di comprare una Lamborghini piuttosto che bruciarla.

1 lavialibera.it

2 Andy Capp: stereotipo del maschio rude della _workin’ class _inglese, una bestia sottoproletaria aggressiva, maschilista, sfaticata, ubriacona e tendenzialmente xenofoba che rappresenta la caricatura dello Stile Maschio Violento, una tipica manifestazione underclass, delimitata e ristretta a quelle fasce di sottoproletariato giovanile a cui sono precluse status e gratificazione attraverso la scuola e il lavoro (Marchi, 2021).

Riferimenti bibliografici

Bertoni F., De Vidovich L. (2022), In piazza. Etnografia musicale delle piazze nel rap milanese, in Le strade della teppa. Etnografia sociale e politica delle culture di strada, Red Star Press, Roma.

The British Journal Criminology, 60 (4), 994-1013.

Marchi V. (2014), Teppa. Storie del conflitto giovanile dal Rinascimento ai giorni nostri, Red Star Press, Roma.

Marchi V. (2021), SMV. La sindrome di Andy Capp. Lo stile maschio violento e i demoni del nostro tempo, Red Star Press, Roma.

Saitta P (2023), Violenta speranza. Trap e riproduzione del “panico morale” in Italia, Ombre corte, V erona.

Sclippa N. (07/09/2023), Decreto Caivano, il sociologo Prina: “un errore drammatico”, La via libera.

Ilian J. (2020), Digital Street Culture Decoded: Why Criminalizing Drill Music is Street Illiterate and Counterproductive

Yousfi L. (2023), Restare barbari. I selvaggi all’assalto dell’Impero, Derive e Approdi, Roma.