Abdeljalij Bendaoud: morto ammazzato dal freddo e da una città indifferente

Abdeljalij Bendaoud: morto ammazzato dal freddo e da una città indifferente

Sarà che credo nei diritti per combattere le ingiustizie, sarà che sono di origine marocchina, ma la morte del giovane ragazzo di 27 anni non la riesco proprio ad accettare.
L’hanno trovato morto congelato in un vagone di un treno abbandonato.
La cosa inaccettabile è che è ’uscita la notizia sui giornali, ma nessuno sa niente.
Se si prova a chiedere alle testate giornalistiche, riferiscono solo di aver ricevuto informazioni dalla Polfer o dalla Questura.
Notizie frammentate, troppo poco chiare.
Il ragazzo risulta essere transitato da Trento e non essersi mai rivolto a nessun servizio del territorio. Non è registrato in nessun database. Di lui si è saputo il nome, l’età e la nazionalità e solo in un secondo momento il cognome.
E’ una morte che colpisce dritta al cuore. 

Una morte preannunciata che avviene in un contesto del tutto ostile alla presenza dello straniero. 
A livello legislativo la normativa in materia d’immigrazione è stata formulata in modo tale da criminalizzare la persona in sé.
Chi entra irregolarmente è posto immediatamente in una condizione di invisibilità.

La polizia, a cui si dovrebbe rivolgere chi vuole regolarizzare la propria posizione, nella realtà spaventa, perché potrebbe svolgere la funzione opposta, portando chi chiede aiuto in un centro per i rimpatri.
Risulta difficile ritenere che questo ruolo ambivalente non sia architettato ad hoc per tenere costantemente appeso ad un filo il destino di vita e di morte di una persona.
D’altronde chi può contestare un abuso di potere o un’omissione d’atti d’ufficio alla polizia? Sicuramente non l’ultimo arrivato.

Ma di cosa può avere bisogno una persona appena arrivata in Italia?
Sicuramente di soldi e di un tetto sopra la testa.
Chiaramente la forte criminalizzazione da parte del governo centrale favorisce la creazione di una situazione di estrema ricattabilità. 
L’impiego presso datori di lavoro in nero risulta essere l’unica soluzione, quantomeno nel primo periodo, che stando alle tempistiche attuali potrebbe durare anni.
La soluzione abitativa autonoma è molto difficile da trovare ed è per questo che negli anni si sono incentivate delle soluzioni abitative di accoglienza parallele al mercato immobiliare privato, ma solo per persone “regolari”.
In generale, questo sistema non è destinato a reggere a lungo.
La questione è strutturale e va gestita di conseguenza, altrimenti la responsabilità di ogni singolo atto lesivo della dignità e dei diritti fondamentali è da attribuire a ogni articolazione della pubblica amministrazione nei diversi livelli in cui è strutturata.
In questa vicenda le responsabilità sono diverse. Partiamo con il prendere consapevolezza che questa morte poteva essere evitata. E’ inutile che l’amministrazione comunale pianga sul latte versato, perché c’è chi da diversi mesi prova ad allertare chi di dovere per essere attrezzato ad affrontare la complessità delle persone migranti ed il freddo dei mesi invernali.
Si è consapevoli che le difficoltà sono molte, ma di fronte ad una morte non si può e non si deve stare in silenzio.

Per questo si è deciso di organizzare una manifestazione giovedì 21 dicembre in concomitanza con la seduta del consiglio comunale in cui si approva il bilancio, per riportare l’attenzione sugli ultimi e sugli invisibili.

Piuttosto di affrontare il fenomeno attraverso politiche sociali degne, si preferisce collaborare con la polizia in chiave repressiva, perché in fondo l’obiettivo è quello di respingere e di scaricare la responsabilità su altri.

Questa morte non fa altro che mostrare le gravi lacune che questo sistema non ha nessuna intenzione di colmare.
I fratelli e le sorelle muoiono costantemente.
Muoiono ogni giorno perché desiderano una vita migliore.
Muoiono perché vengono lasciati morire: ed è giunta l’ora che le istituzioni preposte paghino il conto dei continui rifiuti e respingimenti perché l’omissione di soccorso non è solo in mare, ma dilaga a macchia d’olio negli uffici immigrazione, nei centri per il rimpatrio, nelle carceri e nel cuore delle nostre ricche città.
Verona non deve dimenticare, per Abdeljalil e per tutti i kho che ogni giorno lottano per la sopravvivenza e per uscire dall’invisibilità.